La Fisica Teorica e il metodo scientifico
la Fisica fornisce strumenti di indagine potentissimi, educa ad un uso lucido della ragione, insegna ad osservare scrupolosamente, allena ad una logica spietata. In particolare, la Fisica Teorica, disciplina in cui si elaborano le teorie e modelli da confrontare con gli esperimenti, richiede una conoscenza approfondita della Matematica come linguaggio per descrivere l’universo prima ancora di osservarlo con gli strumenti della tecnologia, siano essi una lente di ingrandimento o un interferometro per rivelare le onde gravitazionali. Ma più di tutto serve, ora come 400 anni fa, il METODO SCIENTIFICO. A questo proposito, piace sempre pensare alla prolusione che Richard Feynman, (uno dei più grandi fisici di tutti i tempi, premio Nobel per aver formulato l’elettrodinamica quantistica, la teoria della luce e della materia) pronunciò per l’inaugurazione dell’anno accademico al Caltech nel 1974. Il suo messaggio principale era che per fare lo scienziato ci vuole una dose assolutamente inusuale di integrità, onestà intellettuale e capacità di autocritica. In quella occasione si scagliò con veemenza contro le pseudoscienze, mettendo in luce come il metodo scientifico vada applicato con rigore e meticolosità per non ingannare se stessi e gli altri: il più grande antidoto contro le “fake news”.
Il metodo scientifico occupa le prime pagine di qualsiasi sussidiario, viene predicato spesso come un mantra ma raramente capito a fondo. Nel linguaggio comune viene spesso usata l’espressione “È scientificamente provato che …”. Quando diciamo “scientificamente”, vogliamo dire che ci possiamo fidare di una certa affermazione, perché essa non è basata su credenze popolari o sensazioni individuali, ma su basi certe, perché è il risultato di misure, osservazioni e verifiche eseguite con un metodo rigoroso: il metodo scientifico.
Il metodo scientifico è questa procedura oggettiva, un approccio rigoroso con il quale osserviamo e comprendiamo la natura. Esso ci garantisce la correttezza assoluta di una certa affermazione. Lo applichiamo da circa 400 anni ed è il risultato di grandi dibattiti fra filosofi naturali, ad incominciare da Bacone e Cartesio.
Fu proprio Cartesio nel 1628 a scrivere: “Per metodo … intendo delle regole certe e facili, osservando le quali esattamente nessuno darà mai per vero ciò che sia falso, e senza consumare inutilmente alcuno sforzo della mente, ma gradatamente aumentando sempre il sapere, perverrà alla vera cognizione di tutte quelle cose di cui sarà capace “. Per Cartesio, bisognava porsi regole ferree, che consistevano in 4 passi:
- Accettare solo l’evidenza.
- Scomporre le difficoltà.
- Andare dal più semplice al più complesso.
- Fare delle ricognizioni esaustive.
Ma fu Galileo Galilei che introdusse nel metodo scientifico quell’ingrediente speciale che lo portò a diventare lo strumento fondamentale per leggere il libro della natura: la Matematica !!!! Il metodo proposto da Galileo si basa su quattro fasi:
- Osservare e riprodurre in laboratorio il fenomeno che si vuole analizzare
- Ne si cerca una descrizione quantitativa e si elabora una teoria, una formula matematica che lo descriva
- Usando questa teoria è possibile fare una predizione quantitativa di nuovi fenomeni osservabili.
- Si verifica sperimentalmente la predizione.
E poi: “O divento famoso o …torno a testa bassa a pensare!” . La parola chiave è nel carattere QUANTITATIVO che ogni teoria deve assumere, non basta una descrizione qualitativa. Si devono identificare quantità ben definite e misurabili per descrivere il fenomeno, in modo da poterlo conoscere e …PREVEDERE!!! [Capite bene, il metodo scientifico permette di PREVEDERE IL FUTURO!!] Inoltre, i risultati devono essere confrontabili con quelli prodotti da chiunque altro osservi la stessa cosa, e devono essere gli stessi se rifaccio l’esperimento una, due, 10000 volte…
Si comprende quindi come l’approccio sia differente: non “se lascio andare una mela, questa cade a terra”, ma “se tengo una mela di massa m= 100 grammi ad una distanza di un metro dalla superficie della terra che ha massa 5,972 × 10^24 kg, la mela è attratta dalla terra da una forza direttamente proporzionale al prodotto delle masse della mela e della terra ed inversamente proporzionale al quadrato della distanza fra il centro della mela ed il centro della terra, ovvero il raggio della terra aumentato di quel metro di altezza da cui la faccio cadere.… E la costante di proporzionalità non è un numero a caso, ma è una costante universale della natura, data da G=9,8 m/s2.
É vero, esistono teorie che sono frutto di puro ragionamento: l’esistenza di proprio un certo numero di quarks con proprio quei numeri quantici, della particella di Higgs, della deflessione della luce che passa vicino ad una stella, delle onde gravitazionali, della materia oscura, tutti in primo luogo risultati del pensiero umano, di uno sforzo intellettuale, matematico, “teorico”, ben prima che di esperimenti in laboratorio. Se ad esempio, si trovano le 3 gambe di un tavolo e si suppone che questo sia un tavolo, anche carponi e ad occhi chiusi si potrà trovare la quarta gamba. Ma prima o poi il momento della verifica sperimentale va affrontato ed è quello che “santifica” una certa teoria. Se il risultato sperimentale smentisce la teoria, questa viene cestinata e si torna in laboratorio, a fare nuove misure, alla ricerca di nuove ipotesi, nuove leggi da verificare. Ma il laboratorio non sempre è un luogo fisico, una stanza piena di alambicchi, un capannone zeppo di cavi e tubi metallici. Prima di tutto il laboratorio è una lavagna, un foglio di carta, un’estensione del nostro cervello e dei nostri sensi dove si simulano i fenomeni attraverso il linguaggio della matematica, certe volte inventandosi gli strumenti che servono, o andando a chiedere aiuto ad altri come fece Einstein, un grande maestro dei gedankenexperiment, gli esperimenti pensati, che spesso vanno avanti per anni, decenni, prima che si passi al laboratorio vero. Inoltre, non sempre il metodo scientifico è facile da applicare. Esso per esempio ci chiede di essere semplici e di applicare un principio “riduzionista”, partendo dall’esame di fenomeni semplici e poi, capiti quelli, di passare a quelli via via più complessi. Galileo scriveva: “Io stimo più il trovare un vero, benché di cosa leggera, che ’l disputare lungamente delle massime questioni senza conseguire verità nessuna ”.
Molto difficile applicare questa regola a sistemi complessi come il corpo umano, o un sistema di nuvole nella tempesta. Una previsione teorica può essere smentita dai dati degli esperimenti. Il metodo scientifico ci può portare ad una varietà di circostanze:
- teorie verificate con successo,
- risultati sperimentali smentiti da misure successive,
- dati sperimentali ancora non compresi.
É il caso di quanto accaduto nella ricerca di Vera Rubin: nelle galassie a spirale la gran parte delle stelle è concentrata nella parte centrale. Questo comporta che, secondo quanto insegnato da Newton, la velocità delle stelle lontane dal centro deve diminuire all’aumentare della distanza secondo una formula che studiamo al liceo e che fa parte delle nostre certezze di studente. In realtà le misure mostravano che, per le stelle esterne al centro, la velocità era praticamente costante, quindi indipendente dalla distanza. Questa anomalia, confermata da altre misure simili, potrebbe essere risolta ipotizzando che la materia osservabile (quella luminosa) sia solo una parte della materia presente nelle galassie e che esiste un alone di materia invisibile attorno al disco delle galassie che si manifesta solo per effetto gravitazionale. Molti tentativi di osservare questa materia oscura (dark matter) finora non hanno dato risultati, il problema resta aperto e c’è chi mette in discussione la meccanica di Newton.
Questa anomalia non va vista come una sconfitta della scienza, ma piuttosto come una grande opportunità per nuove entusiasmanti scoperte. Secondo una famosa frase che Tullio Regge ci diceva prima di schiacciare il tasto del calcolatore per far partire il programma che doveva dare la risposta ad un dato quesito, il mestiere del fisico teorico non è un mestiere per deboli di cuore….in un attimo, facendo tutto da soli e nella propria testa, si passa dall’entusiasmo alla disperazione!
L’European Research Council così come molti organismi nazionali ed internazionali, premia la ricerca “curiosity driven”, in cui si precisa anche che deve essere “high risk – high gain”: si richiede ai ricercatori esperti di lasciare il terreno conosciuto e qualche volta di fare ipotesi “esagerate” spararla grossa, ma sempre appoggiandosi su gradini di conoscenza solida, per esplorare nuove vie: qualcuno deve farlo, non può esistere solo la ricerca tecnologica, non avremmo né il telefonino né internet senza le equazioni di Maxwell e l’effetto fotoelettrico studiato da Einstein!!
La Fisica Fondamentale
Oggi, quando ci si occupa di fisica fondamentale, spesso ci si trova a spingersi ai bordi del metodo scientifico “tradizionale”. Il Metodo scientifico `e il migliore scudo contro le fake news, per esplorare il confine fra ragione e nonsenso. “Sapere quello che si sa e non sapere quello che non si sa” : questa frase significa appoggiarsi alle proprie conoscenze solide come ad un gradino: si usa la dicitura anglofona “rock sure”, sapere solido come una roccia. Questo da’ l’idea di un free climber che non si sognerebbe mai di usare un appiglio di dubbia solidità, ne andrebbe della sua vita prima che del suo divertimento!! Il Fisico è un ingegnere più creativo perché studia la natura ed i fenomeni ma non sempre deve rimanere ancorato alla tecnologia: il suo lavoro viene prima dell’applicazione. Prima si comprende, poi si applica e si sfrutta. È come dire “Un ingegnere deve far stare su un ponte, un fisico teorico deve far stare in piedi una teoria.” Nota bene che anche nello studio moderno della COSMOLOGIA ed in molti studi di frontiera in cui io sono in qualche modo coinvolta, il metodo scientifico viene un po’ stiracchiato perché fare esperimenti ripetibili sull’inizio dell’universo o sulla caduta in un buco nero non é certamente praticabile! Occorre basarsi sul rigore matematico e sulla modellizzazione, che costituiscono il nuovo modo di fare esperimenti e di verificare una teoria.
Stuoli di filosofi discutono di quanto questo sia ammissibile, ma a noi piace ricordare che Einstein non avrebbe scritto la teoria della Relatività se non si fosse lasciato trascinare da una pura urgenza intellettuale, costruendosi man mano la Matematica che gli serviva per mandare avanti le sue deduzioni. Ed arrivò in un luogo in cui poco tempo dopo si poté giungere ad una verifica sperimentale (Eddington dimostrò che i raggi di luce venivano deflessi nel passare vicino ad una stella proprio della quantità prevista da Einstein nella Relatività Generale). Tuttavia, ci sono voluti 100 anni per dimostrare l’esistenza delle onde gravitazionali.
Il tessuto dello spazio-tempo
Newton nel 1665, durante la peste bubbonica fu costretto a lavorare da casa per la chiusura dell’Università di Cambridge: proprio in questo periodo sviluppò la teoria della gravità (e del calcolo infinitesimale); si domandava come facessero due corpi a distanza ad interagire tramite il vuoto, ad influenzarsi a vicenda pur mancando un tramite per connetterli. Solo Einstein nel 1907 cercò di capire davvero come agisce la forza di gravità e ci arrivò solo 10 anni dopo: non un problema facile, e chi l’avrebbe detto che la forza di gravità fra due masse fosse così intimamente legata al tessuto dello spazio e del tempo? Lo spazio-tempo è come un tessuto flessuoso, la cui trama è composta dal loro intreccio. Qualsiasi corpo celeste lo può incurvare, un tessuto che si può increspare sotto gli effetti dei fenomeni che avvengono nel cosmo. Le onde gravitazionali sono come dei brividi che increspano il tessuto dello spazio-tempo.
I Buchi neri
Nel 1915, Albert Einstein con la sua teoria della relatività generale, modificò completamente i concetti di tempo, spazio e gravità così come erano stati fino ad allora compresi. La relatività generale, testata e superato il vaglio della sperimentazione, descrive come la geometria dello spaziotempo (il tessuto con cui è cucito l’Universo) venga modificata dalla gravità.
La stessa forza che ci fa star saldi sulla Terra, che regola le orbite dei pianeti attorno al Sole e del Sole attorno al centro della Via Lattea, che permette di aggregare le polveri di gas per far nascere le stelle, la stessa forza che le fa collassare sotto il proprio stesso peso, è anche in grado di influenzare la forma dello spazio e lo scorrere del tempo.
La teoria, rappresentata mediante le equazioni di Einstein, in particolare prevede che una massa estremamente pesante sia in grado di curvare lo spazio e di rallentare lo scorrere del tempo.
Partendo dalla teoria della relatività generale l’astrofisico tedesco Karl Schwartzschild, a partire dalle complicate equazioni di campo della relatività generale mostrò come una massa molto grande potesse addirittura ingoiare una porzione di spazio-tempo: nasceva così la teoria sul Buco Nero!
Da qui, grazie a diversi studi successivi, la teoria venne arricchita con la descrizione di alcune caratteristiche del “Buco Nero” come l’ orizzonte degli eventi, una sorta di velo circolare che avvolge e nasconde il buco nero e tutto quello che si trova al suo interno. Non è semplice dare un’idea di questi oggetti di quanto possano essere densi e massicci: se la massa del Sole fosse sufficiente a renderlo un buco nero, il suo orizzonte degli eventi avrebbe un diametro di appena tre chilometri; nel caso della Terra, il diametro si ridurrebbe a soli nove millimetri.
Come sempre la Fisica non ha soluzioni pre confezionate: fino agli anni Sessanta, i buchi neri furono considerati una teoria, una delle possibili soluzioni matematiche delle equazioni di campo di Einstein. Ma, nel 1963 in seguito alla scoperta delle quasar, gli oggetti più luminosi dell’Universo, aspetti sperimentali modificarono questa percezione: tutto era iniziato una decina d’anni prima, con l’osservazione di onde radio provenienti da sorgenti misteriose come nel caso dell’oggetto chiamato 3C273, localizzato nella costellazione della Vergine. Quando gli astrofisici riuscirono a captare la luce visibile emessa da 3C273, si resero conto che, nonostante la sorgente fosse lontana oltre un miliardo di anni luce, questa possedeva un’intensità simile a quella della luce di diverse centinaia di galassie. L’unica possibile spiegazione che giustificasse l’emissione di un quantitativo di energia così elevato era la caduta di materia dentro un buco nero.
Qui entrarono in scena Roger Penrose, che ha appena ricevuto il Nobel 2020 e il suo collega il famoso astrofisico Stephen Hawking che immaginarono l’idea delle cosiddette superfici intrappolate, un concetto matematico indispensabile per la descrizione di un buco nero. Per comprendere meglio si tratta di un concetto che introduce una superficie che forza tutto ciò che la colpisce a puntare verso il proprio centro, indipendentemente dalla curvatura della superficie stessa.
Questa rappresentazione permise a Penrose di mostrare che un buco nero nasconde sempre una singolarità, ovvero un punto a densità infinita di materia. Un punto dove tempo e spazio sono dilatati e deformati all’infinito, e per la descrizione del quale non esistono ancora strumenti né teorie. Secondo la teoria indicata da Penrose, dopo che la materia comincia a collassare su sé stessa fino a formare un buco nero e a creare una superficie intrappolata, non è più possibile sfuggire dall’orizzonte degli eventi e tornare dall’altra parte. Ed è questo il motivo per cui quello che c’è dentro un buco nero è totalmente inaccessibile dall’esterno.
Un altro aspetto che la teoria dei Buchi Neri evidenzia è che nonostante non si possa osservare direttamente questo non preclude la possibilità di comprendere. L’esistenza, le caratteristiche e il comportamento dei buchi neri possono infatti essere dedotte osservando i loro effetti sugli altri corpi celesti e sulla luce emessa dalle stelle.
La notizia dell’ultimo premio Nobel assegnato per la Fisica sottolinea questo flusso: Genzel e Ghez, con i loro gruppi di ricerca hanno osservato a lungo il centro della Via Lattea, la galassia a cui appartiene la Terra: studiando il moto di diverse stelle con telescopi a Terra e in orbita, i due scienziati sono arrivati alla conclusione che deve necessariamente esistere un oggetto super massiccio al centro della Via Lattea. E che questo oggetto super massiccio, coerentemente con altre congetture e osservazioni, deve necessariamente essere un buco nero. Le misurazioni di Genzel e Getz, tra le altre cose, hanno permesso di testare ancora più precisamente la teoria della relatività e le sue predizioni e hanno gettato le basi per altre osservazioni ancora più risolute.
La materia oscura
I pianeti più distanti dal sole ruotano più lentamente di quelli più vicini per effetto della forza di gravità; poteva essere vero anche per le stelle. Fu Vera Robin a scoprire che non è così; scoprì che le stelle si muovono molto più velocemente del previsto. Nel 1962 pubblicò i suoi risultati sorprendenti a cui molti non credettero. Vera Rubin però diede una spiegazione a questa anomalia immaginando la presenza di una “massa nascosta”, quella stessa che Fritz Zwicky aveva ipotizzato nel 1933 e che aveva proposto di chiamare materia oscura, dark matter .
La sua definizione nasce dal fatto che la massa ci appare oscura perché “invisibile” agli occhi e agli strumenti di misura in grado di rilevarla, come una sorta di nuvola , un alone molto più grande delle galassie stesse. Gli studi di Vera Rubin hanno permesso di indagare la natura intima e le leggi che ne governano i fenomeni, soprattutto hanno aperto la ricerca su nuovi ed immensi scenari perché la materia che fino ad ora abbiamo studiato è solo riconducibili al 5% dell’energia dell’intero universo. Sappiamo grazie a Vera Rubin che la materia oscura è almeno 5 volte più abbondante della materia che conosciamo. Le osservazioni hanno permesso di stimare che il nostro universo sia composto da:
5% materia comune- atomi
27% materia oscura – natura “misteriosa” da investigare
68% energia oscura
Nel 2011 il premio Nobel per la Fisica è stato assegnato a 3 scienziati e non a Vera Rubin; eppure questo non riduce la grandezza della sua figura e il suo spirito pionieristico alla base di così tanto cercare:
“Mi dispiace di saper così poco, che tutti noi sappiamo così poco … ma è proprio questo il divertimento. …Vivo e lavoro con in mentre tre cose :
- non ci sono problemi scientifici che possono essere risolti da un uomo che non possono esser risolti da una donna
- la metà dei cervelli sono femminili
- tutti abbiamo avuto bisogno del permesso di superare delle prove per fare gli scienziati ma per ragioni che hanno radice profonde nella storia questo permesso viene dato più agli uomini che alle donne.
La mia vita è stato un viaggio interessante. Sono diventata astronoma perché non avrei potuto immaginare di vivere sulla Terra senza tentare di capire come funziona l’Universo. La mia carriera scientifica ha ruotato intorno all’osservazione del moto delle stelle nelle galassie e il moto delle galassie nell’Universo. Nel 1965, se eri molto fortunato e ti interessava usare i telescopi, allora potevi entrare nei laboratori di ricerca […] e fare scoperte straordinarie. Alle donne era in genere richiesta più fortuna e perseveranza che agli uomini.
Quel che rimane da imparare è molto più di quel che sappiamo”
Le onde gravitazionali
Nel 1916 Albert Einstein ipotizzò l’esistenza delle onde gravitazionali: perturbazioni dello spazio-tempo dovute a interazioni gravitazionali. Nel 1974 Hulse e Taylor (Nobel nel 1993) verificarono che il sistema binario PSR 1913-16 perdeva energia proprio nella misura prevista dalla Relatività Generale, ipotizzando l’emissione di onde gravitazionali. Nel 2015 gli avanzamenti tecnologici permettono la costruzione di interferometri particolarmente sensibili e la collaborazione Ligo-Virgo consente di metterne in funzione due, posizionati a circa 3000 km di distanza. Poco dopo la loro attivazione su entrambi viene osservato lo stesso segnale nello stesso momento, simile a quello teoricamente ipotizzato per le onde gravitazionali
In realtà tra i due segnali c’è un ritardo di 10 ms, proprio il tempo che impiega la luce a percorrere i 3000 km che separano i due interferometri (le onde gravitazionali si pensa che viaggino alla velocità della luce). La probabilità che un disturbo casuale degli strumenti di misura si riproduca uguale su due interferometri così lontani è praticamente nulla e sulla base di questa considerazione gli scienziati di Ligo-Virgo hanno affermato di aver osservato direttamente un’onda gravitazionale.
Torna prepotente il tema della verifica sperimentale, l’elemento che caratterizza la scienza, la falsificazione di una teoria non rappresenta un fallimento, è piuttosto il passaggio necessario per arrivare a nuove scoperte e ad una migliore comprensione della realtà. La conferma oppure la falsificazione di una teoria si può avere in pochi mesi oppure dopo molti anni. Lo sviluppo tecnologico a volte fissa questi tempi: una misura irrealizzabile diventa fattibile anni dopo. Quanto dovremo ancora aspettare per sapere se la materia oscura esiste? E nel caso esista: cos’è?
Insomma: la Fisica ti fornisce strumenti di indagine potentissimi, educa ad un uso lucido della ragione, insegna ad osservare scrupolosamente, ti allena ad una logica spietata. La Fisica Teorica, disciplina in cui si elaborano le teorie e modelli da confrontare con gli esperimenti, richiede una conoscenza approfondita della Matematica come linguaggio per descrivere l’universo prima ancora di osservarlo con gli strumenti della tecnologia, siano essi una lente di ingrandimento o un interferometro per rivelare le onde gravitazionali.
La parità
Nella vita quotidiana, noi distinguiamo la sinistra dalla destra, abbiamo due polmoni, due reni, due occhi; allo specchio destra e sinistra si scambiano ma sappiamo istintivamente ricostruire l’immagine riflessa e conciliarla con quella reale. Il nostro corpo non è del tutto simmetrico, perché abbiamo un suolo cuore un solo fegato. Ma le leggi della Natura, invece, seguono dei principi di simmetria e sono sempre sembrate indifferenti a questo scambio: non si sa distinguere un processo visto allo specchio da quello reale. Basta studiarne uno solo dei due! Un po’ come nello spazio vuoto non si sa più cosa vuol dire in alto o in basso.
I fisici chiamano questo “legge di parità” tra noi e la nostra immagine riflessa allo specchio: per un fisico, la parità è la proprietà che determina se la natura ha lo stesso aspetto se vista direttamente o allo specchio.
Fino agli anni ‘50 si pensava che nessuna forza fosse disturbata/modificata dalle riflessioni allo specchio, ma per i fisici Lee e Yang questo sembrava non applicarsi quando si trattava della forza nucleare debole, quella forza che fa trasformare, decadere, disintegrare le particelle sub-atomiche.
Quando un atomo emette un fotone, una particella di luce, la parità viene mantenuta. Invece, quando entrano in gioco le forze deboli, l’immagine allo specchio diventa diversa dal processo reale! Questi aspetti teorici andavano dimostrati: questa fu la scoperta di Chien Shiung Wu.
Lei riunì un team di fisici e progettò un esperimento in cui portò le particelle alle temperature più basse possibili, vicino allo Zero Assoluto e così ha dimostrato che il loro decadimento visto allo specchio è diverso da quello reale! Fu questa l’evidenza sperimentale con cui si dimostrò che la natura nelle forze nucleari deboli , e solo in queste, viola la legge di Parità. La teoria di Lee e Yang e l’esperimento di Madame Wu hanno aperto un mondo completamente nuovo in Fisica.
Perché la Stella
La Stella è un elemento scenico potente; abbiamo scelto “La Stella di Zorio” per sottolineare in molti passaggi dello spettacolo la forza che ha sorretto queste donne e per imprimere nello spettatore con movimenti rotatori e traslazioni l’intensità di questa forza. Visivamente la Forza prende un’immagine dinamica, richiama figure di forza ancestrale. Ogni punta è una donna-stella ed è anche una forza della fisica che permette di connettere ogni elemento per giungere alla quinta punta che è per noi … la Forza nascosta.
Perché noi
E per terminare 2 parole su questo gruppo che ha ideato e curato il progetto: siamo tante donne con molteplici competenze, veniamo da percorsi professionali e umani diversi; per tutte è di grande importanza che venga riconosciuta la pari dignità dell’intelligenza femminile in ciascun campo del sapere e della società civile. Per questo abbiamo intessuto questo lavoro che cerca di rendere note le grandi capacità di queste 4 scienziate che diventano per noi l’emblema di un’intelligenza diversa e varia che ha sempre lottato per amore della Ricerca e della Pace, dando a noi non uno sbiadito esempio ma tracciando traiettorie diverse costellate da tante stelle di luce che rappresentano fenomeni ignoti che possono rendere migliore e più sostenibile il futuro che ci attende grazie al rispetto.
Buon spettacolo e buona ricerca a ciascuna, ciascuno di noi.